1. Premessa
La L. 12 marzo 1999, n. 68 - la cui emanazione è dovuta alle numerose critiche mosse alla normativa sulle assunzioni obbligatorie dettata dalla L. 2 aprile 1968, n. 482 - costituisce una ulteriore tappa del cammino intrapreso con la L. 104/1992, con riguardo, in particolare, alla tutela del diritto al lavoro dei disabili.
Come è stato osservato da più parti e riconosciuto anche dalla Cass. civ., 29 agosto 2011, n. 17740; Cass. civ., 6 aprile 2011, n. 7889, con la L. 68/1999 si è avuto un significativo salto di qualità in senso garantista, perché si è passati da un sistema prevalentemente ispirato all'idea dell'inserimento degli invalidi nelle imprese come un peso da sopportare in chiave solidaristica, ad un altro sistema diretto, invece, a coniugare la valorizzazione delle capacità professionali del disabile con la funzionalità economica delle imprese stesse. Si è così manifestata una più accentuata sensibilità del legislatore verso la persona dell'invalido, pur nel rispetto del principio del bilanciamento degli interessi; il che è attestato, da un lato, dalla completa equiparazione dei datori di lavoro pubblici a quelli privati e, dall'altro, da un riallineamento dei parametri delle quote di riserva a quelli fissati dagli altri Paesi europei.
Il nostro legislatore, inoltre, si è mostrato consapevole, anche nel corso degli anni successivi, del ruolo sempre più pregnante che la tutela dei disabili ha assunto nell'ambito dell'Unione europea e nell'ordinamento internazionale.
Basti pensare che la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - proclamata a Nizza nel 2000 e successivamente adattata a Strasburgo il 13 dicembre 2007 - all'art. 26 (intitolato Inserimento dei disabili) stabilisce che: "l'Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità".
A questa Carta l'art. 6 del Trattato di Lisbona ha attributo il valore giuridico dei trattati, ma anche in precedenza ad essa è stato riconosciuto carattere espressivo di principi comuni agli ordinamenti europei (Corte costituzionale, sentenze n. 135 del 2002, n. 393 e n. 394 del 2006) avente, quindi, come tale valore di ausilio interpretativo (Corte cost. sentenze n. 349 del 2007, n. 251 del 2008).
Inoltre, per quanto attiene alla normativa internazionale, la recente Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, entrata in vigore sul piano internazionale il 3 maggio 2008 e ratificata e resa esecutiva dall'Italia con L. 3 marzo 2009, n. 18, all'art. 27 statuisce che gli Stati Parti riconoscono il diritto al lavoro delle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri; segnatamente il diritto di potersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, che favorisca l'inclusione e l'accessibilità alle persone con disabilità. Diritto - specifica la Convenzione in parola - che deve essere garantito, anche attraverso l'adozione di appropriate iniziative volte, fra l'altro, a favorire l'assunzione delle persone con disabilità nel settore pubblico ovvero il loro impiego nel settore privato.
Né va dimenticato che a tale ultima Convenzione la Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n,80 del 2010, ha attribuito valore cogente nel nostro ordinamento.
2. Art. 10, comma 4, della L. 68/1999: licenziamento del disabile
L’art. 10, comma 4, della L. 68/1999 ha stabilito che il recesso di cui all'art. 4, comma 9, della L. 223/1991 , ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, esercitato nei confronti del lavoratore occupato obbligatoriamente, sono annullabili qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista all'articolo 3 della presente legge.
Sul punto la giurisprudenza di legittimità è consolidata; infatti, la Cass. civ., 26 giugno 2009, n. 15080 ha affermato che "in tema di diritto al lavoro dei disabili, la L. 68/1999, art. 10, comma 4, - secondo il quale il recesso di cui all’art. 4, comma 9, della L. 223/1991, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, esercitato nei confronti del lavoratore occupato obbligatoriamente, sono annullabili qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista all'art. 3 - si applica espressamente e in maniera esclusiva ai lavoratori assunti in forza della disciplina dettata in materia di assunzione obbligatoria, senza che, ove la quota di riserva aziendale risulti scoperta, sia computabile nella stessa il personale invalido non assunto obbligatoriamente".
Sono intervenute anche le Sezioni unite con la sentenza 2 aprile 2008, n. 8452 in cui si afferma: "In tema di diritto al lavoro dei disabili, l’art. 8, comma 5, della L. 68/1999, nello stabilire che i lavoratori disabili, licenziati per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, mantengono la posizione in graduatoria acquisita all'atto di inserimento nell'azienda, invece di richiedere una nuova iscrizione con decorrenza "ex nunc", reca una disposizione di favore, frutto di una scelta discrezionale del legislatore operata, nel rispetto del principio stabilito dall’art. 38 Cost., comma 1, in base ad un bilanciamento tra la tutela del disabile già beneficiario di un atto di avviamento e quella degli altri disabili in attesa ancora del primo atto di avviamento, la quale, proprio per l'eccezionalità della garanzia ed il contesto normativo nel quale è collocata (ossia la disciplina degli elenchi e delle graduatorie dei disabili), va interpretata nel senso che il mantenimento della posizione di graduatoria presuppone che l'avviamento al lavoro del disabile sia avvenuto in forza di collocamento obbligatorio e non già di collocamento ordinario".
Ne consegue che l’art. 10, comma 4, della L. 68/1999 non si applica al licenziamento disciplinare, nelle sue diverse configurazioni, in conformità con l'idea ispiratrice di tutta la L. 68/1999 di coniugare la valorizzazione delle capacità professionali dei disabili (o equiparati) con la funzionalità economica delle imprese che li assumono (Cass. civ., Sez. lavoro, 20/09/2012, n. 15873).
Conclusioni :
In tema di licenziamento del lavoratore disabile, l'art. 10, comma 4, della L. 68/1999 - che prevede l'annullabilità del recesso esercitato nei confronti del lavoratore disabile occupato obbligatoriamente - riguarda soltanto il «recesso di cui all'art. 4, comma 9, della L. 223/1991, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo» e non anche gli altri tipi di recesso datoriale.