Paola A. ed altri dipendenti della s.p.a. Italpulimento hanno lavorato come addetti alle pulizie presso gli uffici della s.p.a. Alenia. Cessati i rapporti di lavoro, essi sono rimasti creditori verso la s.p.a. Italpulimento per differenze retributive e spettanze di fine rapporto. Nel gennaio del 1996 essi hanno iniziato davanti al Pretore di Roma un giudizio nei confronti della s.p.a. Italpulimento e della s.p.a. Alenia chiedendo la condanna di entrambe le società al pagamento di quanto loro dovuto. Essi hanno agito nei confronti della Alenia s.p.a. in base all'art. 1676 cod. civ. secondo cui coloro che, alle dipendenze dell'appaltatore hanno dato la loro attività per eseguire l'opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente, per conseguire quanto loro è dovuto fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l'appaltatore nel tempo in cui essi propongono domanda. Dopo il deposito del ricorso dei lavoratori, la s.p.a. Italpulimento è fallita. Davanti al Pretore si sono costituiti l'Alenia s.p.a. che ha chiesto l'accertamento delle somme dovute ai lavoratori e il Fallimento della s.p.a. Italpulimento che ha chiesto al Giudice di dichiarare l'improcedibilità della domanda sia nei propri confronti che verso l'Alenia s.p.a.
Il Fallimento ha sostenuto che dovessero ritenersi confluite nell'alveo della procedura concorsuale tutte le posizioni attive e passive della società fallita, con conseguente impossibilità per i lavoratori di agire direttamente verso un debitore della Italpulimento. Il Pretore ha dichiarato improcedibile solo la domanda proposta nei confronti del fallimento dichiarando che i lavoratori restavano legittimati a far valere il loro credito verso la Alenia; questa decisione è stata confermata, in grado di appello, dal Tribunale di Roma. Il Fallimento ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione del Tribunale di Roma per violazione di legge.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 22304 del 24 ottobre 2007, Pres. Sciarelli, Rel. De Renzis) ha rigettato il ricorso. In materia di appalto - ha osservato la Corte - l'apertura del procedimento fallimentare nei confronti dell'appaltatore non comporta l'improcedibilità dell'azione precedentemente esperita dai dipendenti nei confronti del committente, ai sensi dell'art. 1676 cod. civ., per il recupero dei loro crediti verso l'appaltatore - datore di lavoro, atteso che la previsione normativa di una tale azione risponde proprio all'esigenza di sottrarre il soddisfacimento dei crediti retributivi al rischio dell'insolvenza del debitore e che, d'altra parte, si tratta di un'azione "diretta", incidente, in quanto tale, direttamente sul patrimonio di un terzo (il committente) e solo indirettamente su un credito del debitore fallito; deve pertanto escludersi che il conseguimento di una somma, non facente parte del patrimonio del fallito, possa comportare un danno delle ragioni degli altri dipendenti dell'appaltatore che fanno affidamento sulle somme dovute (ma non ancora corrisposte) dal committente per l'esecuzione dell'opera appaltata.
La ratio dell'art. 1676 cod. civ. - ha concluso la Corte - va individuata nell'esigenza di garantire agli ausiliari dell'appaltatore - proprio in relazione ad una attività lavorativa prestata per l'esecuzione dell'opera o del servizio appaltati al loro datore di lavoro - il pagamento della retribuzione dovuta per quella determinata attività, in modo da sottrarre il soddisfacimento del relativo diritto al rischio dell'insolvenza del debitore, dando la possibilità di agire direttamente nei confronti del committente.
(Cassazione Sezione Lavoro n. 22304 del 24 ottobre 2007, Pres. Sciarelli, Rel. De Renzis).