E' VALIDA L'IMPUGNATIVA DEL LICENZIAMENTO COMUNICATA DALLA CAMERA DEL LAVORO NELL'INTERESSE DI UN LAVORATORE - In base alla legge n. 604/66

Vincenzo S. dipendente della S.r.l. Forte Formaggi, è stato licenziato con lettera del 31.12.2007. Il licenziamento è stato impugnato, nel rispetto del termine di 60 giorni previsto dall'art. 6 L. n. 604/66, con lettera della Camera del Lavoro di Castelvetrano. Il lavoratore si è quindi rivolto al Tribunale di Marsala, che ha annullato il licenziamento. In grado di appello, la Corte di Palermo ha integralmente riformato la decisione di I grado, rigettando la domanda del lavoratore, in quanto ha ritenuto che l'impugnativa del licenziamento da parte della Camera del Lavoro di Castelvetrano non fosse idonea ad impedire la decadenza ex art. 6 L. n. 604/66 perché al rappresentante del sindacato che l'aveva sottoscritta non era stato previamente conferita una procura in forma scritta e dovendosi ritenere esclusa anche una successiva ratifica. Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte palermitana per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 26514 del 27 novembre 2013, Pres. Lamorgese, Rel. Bronzini) ha accolto il ricorso. La sentenza impugnata non considera in specifico la formulazione di cui all'art. 6 comma primo L. n. 604/66 che recita "il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalia ricezione della sua comunicazione in forma scritta ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento scritto". E' lo stesso art. 6, quindi, a prevedere l'impugnativa "anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale" che viene pertanto ritenuto rappresentante ex lege, riguardo il regime dell'impugnazione dei licenziamenti. Viceversa la sentenza impugnata si è riferita ad altra e diversa situazione in cui sia un rappresentante del lavoratore (ad esempio un legale) ad impugnare entro il termine decadenziale dei sessanta giorni il recesso, ipotesi che la legge non contempla e che pertanto la Suprema Corte con la giurisprudenza richiamata ha risolto attraverso il ricorso ai principi generali. La questione della titolarità del sindacato all'impugnazione del licenziamento (anche attraverso un rappresentante sprovvisto di procura e senza necessità di una ratifica del lavoratore) peraltro viene data ormai per risolta sia in dottrina che in giurisprudenza.

Il sindacato deve considerarsi un rappresentante legale equiparato dalla legge del 1966 al lavoratore per questi limitati fini; diversamente interpretando, la norma quando aggiunge "anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale" non avrebbe alcun significato pratico in quanto l'impugnazione del sindacalista sarebbe disciplinata come una normale impugnazione da parte di un rappresentante del lavoratore necessitando entrambe di una procura specifica. La ratio della disposizione - ha affermato la Corte - è, invece, chiaramente quella di attribuire al sindacato direttamente (senza procura ex ante e senza necessità di ratifica del lavoratore) il potere di impugnazione del recesso sulla base della presunzione che l'associazione sindacale, in quanto a conoscenza della situazione aziendale, sia in grado di valutare al meglio gli interessi del lavoratore, almeno impedendo che si verifichi il termine decadenziale e si possa, poi, valutare con l'interessato l'opportunità di una prosecuzione dell'impugnazione in sede giudiziaria.

Il diritto alla tutela contro il licenziamento ingiustificato - ha affermato la Corte - costituisce oggi un diritto sociale fondamentale così come riconosciuto anche dalla Carta dei diritti dell'Unione europea all'art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, certamente non direttamente applicabile alla fattispecie ex art. 51 della stessa Carta (non investendo la presente controversia una questione di diritto dell'Unione), ma che può certamente operare come fonte di "libera interpretazione" anche del dato normativo nazionale, stante il suo "carattere espressivo di principi comuni agli ordinamenti europei" (Corte Cost. n. 135/2002) e, quindi, in linea generale, operanti anche nei sistemi nazionali (sull'art. 30 della Carta cfr. cass. n. 15519/2012; cass. n. 229678/2010; sul rilievo della Carta come fonte interpretativa cfr. cass. n. 28658/2010, cass. n. 7/2011, sul richiamo alla Carta anche in casi non qualificabili come di "diritto comunitario" cfr. Corte cost. n. 93/2010, n. 81/2011, n. 31/2012). Tale norma della Carta va posta necessariamente in correlazione con il diritto di cui all'art. 47 della stessa Carta che stabilisce il principio del diritto "ad un ricorso effettivo" cioè ad una tutela giurisdizionale piena ed efficace che verrebbe frustrata dall'apposizione di termini e condizioni troppo gravose per far valere una pretesa sostanziale che, sul piano sovranazionale, costituisce un "diritto fondamentale". L'art. 6 prima ricordato - ha concluso la Corte - va quindi interpretato anche alla luce dell'esigenza di assicurare con facilità il controllo giurisdizionale in ordine alla legittimità degli atti unilaterali di interruzione, ad opera del datore di lavoro, dei rapporti di lavoro a carattere continuativo, esigenza che il legislatore italiano ha inteso soddisfare anche consentendo al sindacato autonomamente di impugnare tali atti attribuendogli direttamente questo potere, senza condizioni di previa iscrizione, sulla base della presunzione di una cura "istituzionale" da parte delle OO.SS. degli interessi del lavoratore.

La Suprema Corte ha rinviato la causa per nuovo esame alla Corte d'Appello di Palermo in diversa composizione.

(Cassazione Sezione Lavoro n. 26514 del 27 novembre 2013, Pres. Lamorgese, Rel. Bronzini).