L'ART. 28 ST. LAV. HA LO SCOPO DI ASSICURARE UNA MAGGIORE FORZA ALLA COLLETTIVITÀ DEI LAVORATORI - Con la repressione del comportamento antisindacale

La condotta antisindacale si identifica, in base all'art. 28 St. Lav., con i comportamenti del datore di lavoro (o di soggetti che secondo l'organizzazione dell'impresa spiegano attività ad esso imputabili, esercitando una parte, più o meno estesa, dei poteri datoriali), volti ad impedire o a limitare l'esercizio della attività sindacale nonché del diritto di sciopero.

E'ormai acquisito come dato incontestabile che il termine "comportamento" - anche in ragione della funzione garantista sottesa al disposto dell'art. 28 ed ai valori costituzionali di riferimento - debba essere inteso in senso estensivo; il che porta a ritenere compresi in detto termine anche mere condotte materiali e pure comportamenti omissivi del datore di lavoro che vengano in rilievo nella loro potenzialità lesiva attraverso atti positivi, in funzione discriminatoria di altri dipendenti sindacalisti.

E' ugualmente un dato incontestato che la ratio dell'art. 28 Stat. Lav. vada individuata nella posizione di potere del datore di lavoro e nell'esigenza di riequilibrare l'istituzionale debolezza dei lavoratori (anche in ambito contrattuale) attraverso un sistema legale protettivo delle organizzazioni sindacali e della loro libertà e attività nonché del diritto di sciopero, quale strumento indispensabile per assicurare, con la repressione del comportamento antisindacale, una maggiore forza alla stessa collettività dei lavoratori, rappresentata dalle suddette organizzazioni. La logica dell'art. 28 Stat. Lav. si colloca, pertanto, nei rapporti conflittuali (o potenzialmente tali) tra datore di lavoro ed organizzazioni sindacali in ogni caso in cui tale conflittualità finisca per interferire negativamente sulle prerogative costituzionali del sindacato.

(Cassazione Sezione Lavoro n. 24581 del 26 novembre 2007, Pres. Sciarelli, Rel. Baletti).